SULLA DECISIONE DEL QUESTORE DI CHIUDERE LO “ZANZIBAR”

Ci sia permesso di dissentire, Signor Questore, sulla sua decisione, con atto coercitivo, di chiudere un esercizio pubblico nella nostra città.
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Non dissentiamo nel merito, ma nella sostanza. Non tanto, quindi, sul potere che l’ordinamento giuridico Le conferisce.
Siamo stati tra i primi a richiedere l’attenzione pubblica sulla nostra realtà sociale e anche ambientale.
Noi vorremmo anzi un controllo meticoloso della sicurezza dei lavoratori nei cantieri edili e nelle fabbriche metalmeccaniche.  Avremmo, anzi, grande piacere che degli organismi pubblici verificassero il rispetto delle, pur labili, normative che regolano il lavoro nel commercio e nei precarissimi servizi. Una presenza, non episodica,
che verificasse in maniera organica, lo smaltimento dei residui tossici delle verniciazioni industriali del nostro distretto, sarebbe da noi addirittura auspicata.  E magari anche sull’inertamento dei liquami nocivi prodotti da allevamenti industriali intensivi di suini.  Una presenza strutturale, quindi, soprattutto nelle verifiche e nei controlli di quelle attività più ambientalmente  sensibili, come quelle estrattive, soprattutto alla luce di illeciti già accertati, noi crediamo sia anzi dovuta.
La cronaca odierna ci insegna che le rapine, quelle vere, si fanno mediante contratti, appalti e carte bollate e superano di gran lunga, per frequenza e importi, quelle classiche, “a mano armata” per capirci.
Meno paranoie securitarie, inquisizioni etilometriche, investigazioni proibizioniste e una organicità di controlli di grande valenza sociale e ambientale. Questi, signor Questore, sono naturalmente solo consigli di chi, queste meravigliose e disgraziate terre, le abita.
Ma non è la polemica ad interessarci.  Però ci teniamo a precisare che, secondo noi, in città non ci sono ne covi di spacciatori ne santuari sovversivi tanto meno ritrovi della criminalità organizzata.
Ghetti e aree di forte e radicato disagio sociale si.
Nella nostra banlieu sub-appenninica, gli esercizi pubblici, non sono il ricettacolo di devianza e criminalità ne tanto meno il centro propulsivo. Eventualmente potrebbero esserle lo specchio fedele di quella devianza portato diretto di un malessere sociale diffuso, specie tra le fascia più deboli della popolazione. E i giovani sono una fascia debole.
Ci creda, non vogliamo essere i difensori d’ufficio dello “ZanziBar” che lei, con una sua ordinanza, ha ritenuto di punire con 5 giorni di chiusura.  Se abbiamo deciso di scriverle è perchè il sociale è il nostro terreno privilegiato di intervento: la nostra aspirazione è stare proprio al Centro del Sociale.

Noi crediamo che alcolismo, abuso di “droghe leggere” (che noi più scientificamente chiamiamo “non droghe”) piccoli atti di teppismo, bullismo, sofferenza psichica etc siano il portato diretto di una malattia sociale. Sintomo e non causa.

La causa risiede nella precarietà sociale selvaggia che si disvela, nel nostro entroterra, in tutta la sua nefasta potenza. I laureati costretti a migrare verso i purgatori della precarietà  al nord o sulla costa, per gli altri c’è il deserto della precarietà, dei straordinari non pagati delle micro imprese, dei vanescenti contratti con gli enti pubblici, di lavori che non bastano a pagare il conto del benzinaio, il mutuo o l’affitto.
Il furto di futuro, condiviso a livello generazionale e a livello nazionale, nelle banlieu subappeniniche assume connotati drammatici.
Ad aggravare la sofferenza sociale (e in parte generazionale) l’assoluto vuoto di proposte e di intervento e protagonismo, di socialità consapevole, di svago accessibile alle tasche dell’operaio, e di una cultura che non sia derivazione diretta del mercato.

Un intervento pubblico di tipo repressivo (e chiudere un locale pubblico lo è) non può che essere una scorciatoia che evidenzia il fallimento dello stato nell’azione sociale. Potrà forse servire per tacitare coscienze politiche colpevoli della scarsa attenzione alle sofferenze e alle trasformazioni che coinvolgono  il tessuto cittadino e quella parte dell’opinione pubblica di estrazione reazionaria. Non certo a risolvere il problema.
Una presenza episodica e per di più di segno errato, ci creda Signor Questore, non può che aggravare la situazione esacerbando gli animi e il senso di distacco dei giovani dalle istituzioni ormai percepite solo come quelli dell’autovelox, del Serd o delle tasse.

La immaginiamo molto occupato e non immaginiamo che lei possa venire nelle nostre città e probabilmente eccede anche i suoi incarichi. Ma se vuole incontrare chi scrive basterà che aspetti luglio- Tutto il collettivo (e qualche decina di altri nostri compagne e compagni) sarà a Fano dove è sottoposto ad un processo proprio per aver tentato di dare una risposta a quei problemi.

 

Questore: funzionario del Ministero
degli Interni che, in ogni capoluogo di provincia, esercita, alle dipendenze
del prefetto, la direzione tecnica dei servizi di polizia e di ordine pubblico
e altre funzioni amministrative attribuitegli dalla legge


E che c’azzeccano un gruppo di militanti
di un centro sociale pluri sgomberato in amabile colloquio in sobrio ma
elegante ufficio di un questore?


Ne rivolte ne i loro risvolti giudiziari
e di ordine pubblico sono all’ordine del giorno.

benedetto pansini


L’apertura di una "linea dialettica"
è l’anomalia, rappresentazione palese del fallimento di un intervento pubblico
che delega la propria azione alla sola repressione.


Dentro questo fallimento si aprono,
come spesso nei periodi di "crisi", degli spazi opportunità,
per chi non appesantito da pesi politici e fardelli ideologici e sa muoversi
e seminare nell’humus del caos.


La sintesi dell’incontro di circa un
ora che un gruppo di squolari ha avuto sabato mattina con il questore Benedetto
Pansini e il suo vice Scarpelli mi risulta complesso e spero anche nell’aiuto
degli altri kumpà presenti.


Ma se esiste un problema sociale, che
poi si rappresenta ed evidenzia nel disagio dell’alcolismo, della violenza,
dei vari bullismi etc e che poi trova specchio in un locale pubblico, non
sarebbe compito delle istituzioni e della politica in seconda istanza,
ragionarne con la società civile e provare a darne una risposta?


Perchè siamo stati inviati a Pesaro
a parlarne con il capo della polizia e non con degli assessori ai servizi
sociali? E perchè il questore si è sentito in dovere di chiamare noi e
non il sindaco e gli assessori competenti per dare ragione del suo gesto
"repressivo" ( che lui considera "preventivo" cioè
un avvertimento prima del ritiro della licenza) e provare a dare una risposta
concreta ad altrettanti problemi concreti?


Il questore è una persona "concreta"
ancora prima di un essere umano con una sua sensibilità sociale. Sa che
la repressione è una scorciatoia ad uso dei politici che falliscono la
loro missione, non serve a lenire il malessere sociale e spesso ne accentua
gli aspetti devianti. Non vuole essere lo strumento in mano ad una classe
 politica incapace di dare altre risposte che invocare politiche repressive
e sicuritarie.


Non ci stà. Al pari dei carabinieri
invocati dal sindaco a Squola nella notte del 14 maggio 2005 – "ma
noi che c’entriamo? queste sono "cose" che deve risolvere il
sindaco!".  Poi è chiaro che, come cantava De Andrè "si
sa che gli sbirri al loro dovere non vengono meno.."


Se alle crisi portato della globalizzazione
la risposta è lo stato d’assedio insito nel progetto di Guerra Globale
Permanente – la deriva autoritaria che ne segue deve essere ammantata dalla
veste di "sicurezza".  Concrete risposte repressive per
un  problema virtuale. O meglio il problema della sicurezza esiste
e i 1000 morti all’anno sul lavoro (come paradigma) lo dimostrano, ma la
percezione che ne rappresentano il concerto dei media di "sistema"
è diversa.


E cosi nascono le "emergenze":
dagli stupratori stranieri ai rapinatori di villette. Che le statistiche
ci rivelino che in realtà il 99,9 % degli stupri avviene tra le mura domestiche
a cura di italianissimi e  devoti  padri di famiglia e che solo
15 anni fa l’incidenza degli eventi di criminalità fosse superiore a quella
odierna, al "regime" non interessa.  Il risultato è una
modificazione del sistema giuridico nel senso di una contrazione della
sfera individuale e collettiva dei diritti e i vari "pacchetti sicurezza"
votati sulla scorta di una delle tante "emergenze".


Ma la "normalità" che viviamo
porta la politica ad interessarsi ai problemi sociali solo in luccicanti
quanto inutili convegni  in prossimità dei carnevali elettorali e
per il resto estermoporaneità, improvvisazione e tanta tanta polizia. Dopo
la chiusura di un esercizio pubblico avrei immaginato sindaci e assessori
interrogarsi e interrogare la società civile sui mali che l’affliggono
non di doverne parlare con un polizziotto.


Per la cronaca il questore ha rinviato
un impegno ed è rimasto con il collettivo per oltre un ora e quindi il
colloquio è terminato nell’ufficio di Scarpelli. L’anomala giornata si
è conclusa con un paio di giri di aperitivi allo Zanzibar tanto per sentire
le reazioni dei proprietari e degli avventori.


Loro Zapatero – Noi Zapatisti

 


 


One Response to “SULLA DECISIONE DEL QUESTORE DI CHIUDERE LO “ZANZIBAR””

  • Costy

    Ciao,sono daccordo con voi per quanto riguarda il non dialogo o il dialogo mai instaurato da parte dei servizi sociali,a loro importa solo salvare la facciata!Sicuramente ora proporranno qualcosa dato che tra un po’ si voterà…..per le migliori proposte?O meglio ci sarà chi almeno ci proverà a creare un dialogo?