LUOGHI NON LUOGHI

Il LUOGO

L’importanza del ritorno al territorio come focus dell’azione sociale e politica era stata l’intuizione cardine che aveva portato la nascita delle Comunità resistenti delle Marche nel febbraio del 2004 proprio nel luogo Squola nel luogo Bellisio.  In visionario anticipo avevamo intuito come i concetti cardine del futuro fossero proprio la comunità, come luogo ideale dell’azione, e il recupero del concetto di "resistenza". Che partiva dal concetto partigiano per sfumare su locke, hobbes, fino a toni negri.

Marxianamente credo il potere si articoli a partire dal gaglo economico. Se i Merloni gestivano il "potere" originato dalla gestione della  produzione materiale dei beni, nello scenario post globalizzato (in cui la produzione è esternalizzata nell’est e nel sud del mondo),  la gestione passa attraverso la messa a profitto del territorio.
Semplificato: prima la messa a profitto del lavoro e la rapina del "plusvalore", ora la messa a profitto del territorio,. I Merloni ordinano ora lo stesso potere  con un metodo diverso: con il cameriere Spacca che gestisce il saccheggio tramite uno dei più raffinati strumenti messi a punto negli ultimi anni: Piano Area Vasta – Quadrilatero.  Luogo- territorio-  come ambito della creazione del profitto e quindi del conflitto. La borghesia dimostra, a 200 anni dalla presa della Bastiglia, una immutata capacità rivoluzionaria di trasformazione e adattamento e quindi di mantenimento del controllo del saggio di profitto.
Prima sfruttavo per 10 ore l’operaio, ora il territorio. Come? Nella precente fase mediante Piani Regolatori, cave,  infrastrutturazioni e la capannonizzazione selvaggia (tremonti, bis, ter, quater), ora nella gestione del businnes delle cosiddette "rinnovabili".  Da Obama in poi il businness è verde: dighe su fiumi senza acqua, mulini miliardari su crinali senza vento, incenerimento dei rifiuti, biocarburanti con oli alimentari. Mentre un quarto della popolazione mondiale è a rischio fame.


IL LUOGO E IL CONFLITTO….
Luogo, territorio, come luogo della produzione. Territorio quindi come luogo, necessariamente, della contraddizione e del conflitto.
Se nel precedente ciclo la "classe" sfruttata agiva il conflitto, nel nuovo scenario è la "comunità" che si fa carico di una resistenza allo sfruttamento. Resistenza che stà assumendo caratteri costituenti.
Luogo: provincia di pesaro.  Ex territori del tristissimo "ulivismo reale"  dove le connessioni classe imprenditoriale-politica sono evidenti "non si muove foglia che il popolo non voglia". Sono tre anni che le ruspe del gasdotto dell’appennino sono ferme a Borgo Pace, i pergolesi guardano verso Bellisio senza vedere crateri, nessuno inquina i polmoni degli abitanti di Barchi. Piu a sud i ruspisti della complanare sono fermi a Senigallia, nessuno fa palate di euro con i polmoni dei sassoferratesi. Ancora più a sud la musica non cambia.  
Dentro la epocale crisi della rappresentanza politica è il fiorire dei "comitati", lungissimi dalla logica del "nymby", ad animare lo spirito resistenziale dei cittadini.  Che poi le numerose, interessanti, innovative, iniziative "autonome" dei cittadini, assumono una costituenza che potrebbe avere (in parte sta avendo, ma sicuramente avrà) rivolti squisitamente politici sarà il tempo che ce lo dirà. E attenzione,  il confronto elettorale chiave, le regionali 2010, sono vicine.
Starà alla nostra intelligenza politica "insorgente" trovare terreni comuni tra movimenti sociali e comitati.  Una forma completamente diversa e autonoma di presenza politica che rifugge dagli sterili e impermeabili comparti dei partiti politici. Non solo fuori ma anche contro. Contro chi viene individuato come "parte del problema". Il partito politico appunto, nodo di congiunzione con il mondo imprenditorial-speculativo.

IL LUOGO IL CONFLITTO E IL BENE COMUNE
Come nel ciclo di lotta precendente la trasformazione economica aveva portato alla politicizzazione  grandi masse di esseri umani,   proletarizzate  nelle fabbriche fordiste, in questa nuova fase che si ricostituisce la nuova coscienza, di una nuova classe, intorno a quelli che sono i "beni comuni". E parlo di acqua pubblica, ambiente, diritti.  Una classe mutante che mutua prassi e linguaggi adattandole al conflitto. Dalla Val di Susa a alle antenne di San’Andrea di Suasa, da Chiaiano al Bifolco. Un nuovo concetto di "Res" "Pubblica" in cui nuovi sono sia il concetto di "cosa", bene comune, e l’agire del "pubblico".
Riporto il passaggio, perchè ritengo significativo, del documento di convocazione di "Sabot", l’incontro plenare delle comunità resistenti.
Capitolo "democrazia, territorio, reddito di cittadinanza"
1) Salvaguardare il territorio e le comunità che ci vivono porta il conflitto a debordare dal contesto ambientale per investire direttamente il problema della "decisione", il "come" ed il "chi" decide del nostro destino, della nostra vita individuale e collettiva, presente e futura. Da questo punto di vista, per quanto riguarda il nostro territorio, il caso della Quadrilatero è emblematico. La Quadrilatero non è solamente una grande speculazione: la Quadrilatero è molto di più, è la cattura, oggi, del valore che la cooperazione sociale produrrà domani, è il trasferimento dei poteri all’interno dei consigli di amministrazione delle società per azioni, è la fine brusca dell’illusione storica del cittadino chiamato in qualche forma a concorrere alle decisioni sul futuro della propria comunità.
2) Le difficoltà prodotte dall’opposizione sociale alla realizzazione delle opere, determinano effetti generalizzati, che travalicano la situazione locale sia dal punto di vista dei movimenti, sia dal punto di vista dei grandi interessi dominanti: ogni punto di resistenza in grado di bloccare o rallentare la realizzazione delle opere produce ripercussioni diffuse, si trasforma nel sabot immesso in un ingranaggio immensamente più grande.
3) La tematica dei “beni comuni” tende ad allargarsi e può assumere nuovi orizzonti. Da questo punto di vista crediamo che sia importante riflettere non solo sulla loro difesa, ma anche sulla loro riappropriazione, sulle modalità con le quali possiamo rivendicare la riassunzione alla sfera sociale dei beni che ci sono già stati alienati, formalmente o in via di fatto. La necessità di ragionare sulle forme di riappropriazione dei beni comuni nasce anche dalla necessità di rompere la sovrapposizione tra l’idea di “comune” e quella di “Stato” che ci imprigiona in una falsa dialettica senza uscita tra privatizzazione e statalismo. Se è facile immaginare che la difesa dei beni ancora formalmente pubblici tenderà a concentrarsi nell’opposizione al passaggio dei poteri dallo Stato alle Spa, è possibile, però, individuare nella tematica della riappropriazione dei beni comuni già privatizzati un ampio terreno di sperimentazione di nuove dimensioni della sfera pubblica che riporti direttamente nel sociale la sovranità sui beni che ci sono stati espropriati

Con queste premesse credo si posso inziare un percorso virtuoso di ritorno al luogo, ma soprattutto, alla Politica.


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