NOI E I LAVORATORI IN MIMETICA: LETTERA APERTA AL SINDACO BALDELLI

NOI, GLI ALPINI DI PIANURA,I LAVORATORI IN MIMETICA, IL NOSTRO SINDACO

Che lo creda o no anche noi il 9 ottobre siamo rimasti costernati, come lo siamo sempre quando apprendiamo che quel giorno sono morti dei lavoratori. Sempre e non solo per i fatti manifestamente eclatanti, come quando ascoltiamo che sette operai vengono fritti in una fonderia per permettere ad una multinazionale di risparmiare gli ultimi euro per permettersi di fare cifra tonda ai 3 (tre) miliardi di utile oppure quando un padrone umbro ha l’ardire di chiedere alle famiglie degli operai morti, un risarcimento milionario per i danni del rogo in cui sono deceduti.
Quel giorno altri 4 lavoratori si sono aggiunti alla triste contabilità che ci dice che quotidianamente, in questo paese, crisi o non crisi, quasi tre lavoratori muoiono sul lavoro. Sabati, domeniche, pasque e natali compresi.
4 lavoratori, 4 alpini di pianura, gente del sud povero di questo paese. Gente della piana delle Murge, delle campagne siciliane. Così lontani, per estrazione e cultura, dalle Alpi, cosi prossimi alla miseria. Morti sul quel grande cantiere della ristrutturazione capitalistica che è l’Afghanistan, cantiere su cui lavorano operai di tutto il pianeta. Disoccupati di Liverpool, precari di Londra, migranti latinoamericani che sperano nella “green card” che gli permetta l’agognata cittadinanza statunitense, se escono vivi, da tre anni di macello afgano. E nell’impresa concorrente, oltre che miseri agricoltori pastun, disoccupati del Cairo, abitanti delle bidonville di Damasco. Gente che salta per aria, oltre che per il “paradiso di latte e miele”, più prosaicamente per il vitalizio per i figli e per la vedova. In mezzo qualche milione di vittime. I danni collaterali della democrazia.
Alla fine della guerra, scriveva Brecht, nel paese dei vinti, erano i poveri a fare la fame, esattamente come nel paese dei vincitori. Ma dietro ogni lavoro c’è sempre chi ci specula. Non è un caso che il presidente di quel lontano cantiere è un “padrone”. Fino al 2000 è stato l’amministratore delegato della UNOCAL, multinazionale dell’energia incaricata del gasdotto afgano. Per non parlare degli sciacalli dell’industria di guerra e su chi la finanzia. Magari anche la corporation che smercia i miliardi della fiorente industria dell’eroina, azienda quasi annientata durante il regime dei sagrestani islamici.
Facciamo uno sforzo intellettuale e usciamo dalle ipocrisie. Sciacquiamo bene la bocca dai termini roboanti come democrazia, sviluppo, guerra umanitaria e polizia internazionale. Si sta parlando di dotare di missili gli aerei della missione afgana. Non ho mai sentito una sua proposta per dotare i nostri vigili di lanciafiamme o per le blindature degli scuolabus. Quello che succede tra quelle lontane montagne non ha niente di poliziesco o di umanitario. Proviamo a chiamarlo con il suo nome: quel macello si chiama guerra.
C’è un patto fondante che tiene insieme, nella sostanza, questo paese. E lo tiene unito ben oltre la retorica di una conquista che, centocinquanta anni fa, non ha unito un bel niente. Lo tiene unito su alcuni cardini sui quali, ne siamo certi, siamo la maggioranza concreta nel paese.
“L’Italia ripudia la guerra..” e scende in piazza a milioni ogni volta a ricordarlo alle varie elitè politiche che dominano, in assoluta e autistica autoreferenzialità, alternandosi nella guida della nazione. In Afghanistan c’è una guerra, che ogni cittadino, per costituzione, ripudia.
Lo saprà certamente, ma lo ribadiamo per rinfrescare la memoria dei puristi flagellatori della “Casta”. Ogni lavoratore, su quel lontano teatro, ci costa più di un senatore e le sue auto blu. Come un senato con 4000 onorevoli, mantenuto con i soldi dei sempre più miseri lavoratori italiani. E mettiamoci anche una camera dei 2500 deputati nel sud del Libano e un bel consiglio regionale . balcanico con dentro altri 500 consiglieri tra Kossovo e Bosnia. Vuoi vedere che con tutti quei soldi risparmiati riusciamo magari anche a trovare i finanziamenti per finire i lavori nella ex scuola di Bellisio da dove 5 anni fa un suo predecessore ci ha sgomberati per urgenze restaurative. Magari generano anche quei surplus di bilancio per finanziare un piatto di pasta per i bambini che non possono permettersi la mensa nell’opulento nord.
Massimo onore e rispetto, dunque, per i lavoratori in mimetica morti in Afghanistan. Mettiamo manifesti e scriviamolo sui muri. Dedichiamogli piazze e minuti di silenzio. Facciamolo sempre però, anche per i lavoratori morti nei subappalti dell’alta velocità. Per i migranti che ogni giorno muoiono nei nostri cantieri. Per gli eroi che raccolgono arance per 16 ore a 20 euro al giorno a Rosarno. Lodiamo all’inizio di ogni consiglio comunale patrioticità e senso dell’onore di precari della scuola, degli sfruttati dei call center, degli stagionali della riviera. Per le badanti, per i metalmeccanici, i cassintegrati. Tributiamo loro il giusto riconoscimento, anche economico.
Non scriveremo sui muri “Afghanistan 4 – Italia 0”, non è nel nostro stile. Però ci permetta di pensare che ieri a Roma si è giocato un bel derby democratico (questo si): Marchionne, Sacconi e Gelmini: zero. Lavoratori, precari studenti – un milione!

collettivo squola


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