NON FERMI IL SOLE SE GLI SPARI ADDOSSO
Lo conosciamo bene quell’odore: tritolo e sangue.
Lo conosciamo perché lo abbiamo respirato per anni nelle nostre piazze, nei vagoni e nelle banche. Sappiamo quanto sa essere pesante e crudele la mano del potere quando una ondata democratica mette in discussione le radici stesse del suo dominio. Conosciamo tutti gli aspetti di quella repressione che mira allo spegnimento di ogni possibile focolaio di rinnovamento, partecipazione e democrazia. Aspetti ufficiali, quelli degli “stati d’assedio” e delle carceri e quelli meno ufficiali, i “lavori sporchi” appaltati ad organizzazioni funzionali al potere. Conosciamo la durezza delle “leggi speciali” delle detenzioni arbitrarie. Sappiamo quanto lo Stato sa essere violento nel colpire e rapido nel depistare e insabbiare.
Erdogan, novello “Sultano dei centri commerciali”, espressione di una decadente borghesia post kemalista “ordine e giustizia” orfana del potere e riscopertasi tradizionale e islamista, non è un innovatore, neanche nella repressione. Le “leggi a tutela dello Stato” turche sono state ispirate da un giurista fascista, l’italianissimo Alfredo Rocco (si proprio lui, quello del “Codice Rocco” attualmente in vigore in Italia e che nemmeno i costituenti si preoccuparono di sradicare dall’ordinamento penale repubblicano) ed è cosi tristemente conosciuto quel disegno politico che punta a creare disordine e terrore per spegnere sul nascere qualsiasi opzione di rinnovamento democratico: Stragi di Stato e Strategia della Tensione. Lo conosciamo perché l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle.
Lo conoscono bene quell’odore: tritolo e sangue.
Lo conoscono bene i nostri compagni kurdi “sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi” macellati in centinaia nelle piazze, nei palazzi, nei giardini. A Dyarbakir a giugno a Suruc a luglio. Ad Ankara è cambiata solo la scala dell’azione terroristica. Il livello di aggressione messo in atto al “corteo per la Pace” è stato adeguato alla posta in gioco: la vittoria elettorale definitiva del Sultano alle prossime elezioni del 1° novembre. Una vittoria che ponesse fuori gioco i kurdi del HDP e permettesse una definitiva modifica in senso presidenziale ed autoritario della costituzione repubblicana e laica. Il viatico istituzionale alla dittatura. Il pesante piede del potere sui teneri germogli di una primavera che sbocciava sui prati di Ghezi Park e nelle montagne del Kurdistan al di qua e al di là dell’effimera frontiera coloniale tra Turchia e Siria.
Li conosciamo bene quei compagni che da decenni si oppongono alle dittature regionali. Sappiamo chi sta morendo per lo sciopero della fame nelle carceri di Urmia e Mahabad, i torturati di Dyarbakir, gli straziati di Suruc e gli eroi di Cizre che hanno difeso il loro “municipio autonomo” a pietrate dai blindati della polizia. Abbiamo attraversato con loro i quartieri popolari in festa dopo la storica vittoria che ha portato 80 deputati kurdi in parlamento, nonostante le bombe, i sicari e le intimidazioni. Nonostante una legge con uno sbarramento elettorale al 10% in questa “culla della democrazia” e bastione degli interessi occidentali in Medio Oriente. Un’incontenibile gioia, sulle note di “Bella Ciao” declinata dal tradizionale al rap, partendo dai quartieri popolari e dai borghi rurali, con le sue vibrazioni democratiche è stata in grado di far tremare le fondamenta del Palazzo del Sultano.
Che le bombe siano dei lupi grigi o che a immolarsi sia stato un chierichetto dell’ISIS poco conta: sappiamo chi ha armato quella mano. Lo sappiamo e lo sanno i nostri compagni kurdi che con la loro resistenza nella Rojava stanno costruendo una speranza materiale e tangibile per tutti i popoli dell’area.
Quello che noi chiediamo è questo: che il sangue dei ragazzi straziati ad Ankara dissolva per sempre il servilismo e le ambiguità europee e che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il PKK, unico baluardo contro il clerico fascismo islamico, venga subito stralciato dall’elenco delle organizzazioni terroriste di UE e USA, che venga riconosciuto politicamente come interlocutore per la costruzione di quella Confederazione Democratica Kurda, già costruita con le armi nella Rojava. Chiediamo con forza la liberazione del comandante Abdullah “Apo” Ocalan, indiscusso capo politico dei kurdi, dalla tomba di cemento nell’isola di Imrali, che l’Europa censuri ed isoli il Sultano Erdogan foraggiatore e spalla dei tagliagole islamici e nemico della democrazia nel suo paese.
Dalla stazione di Bologna al corteo di Ankara che il Terrore di Stato non venga mai dimenticato e che non rimanga impunito.
Spazio Pubblico Autogestito Squola
ANPI Valcesano