Pensavamo potesse essere
interessante inserire nel sito gli articoli di due compagni che riflettono
sulle elezioni e sul risultato elettorale.
In effetti è sembrato anche a noi inquietante il come viene vissuto il
post elezioni specie tra i grandi sconfitti, gli orfani di scranni (da quelli
al parlamento a quelli elemosinati nei CdA delle municipalizzate...) e i
compagni fermi ad analisi post-risorgimentali.
Tra chi si scanna sul dilemma falcemartello si/no e chi spera in D’Alema.
Mauro
Bulgarelli, un compagno (ex senatore) che viene dal movimento e prestato all’ambientalismo
politico (???!!?), ragiona sui danni di una cattiva e frettolosa “elaborazione
del lutto”.
Il discutibile e discusso Francesco
Caruso, neo-scagionato dalla scandalosa accusa di terrorismo, riflette,
tra l’altro, sul delicato tema dei 7000 compagn* (tra cui 11 squolar*) ancora
sotto processo per fatti connessi con la stagione di lotte 2003-2007.
Per le
riflessioni di movimento rimando al corposo articolo presente su http://www.globalproject.info/art-15857.html
TRA LE PIEGHE ELETTORALI
Di Mauro Bulgarelli
Non vorrei essere eccessivamente pessimista, ma il day after della sinistra parlamentare italiana promette di far più danni di quelli che hanno portato alla sua liquefazione elettorale. Nutro ovviamente rispetto per tutti quei tentativi che, per quanto confusamente, si prefiggono di puntellare le macerie prodotte dal voto di aprile, ma non posso non rilevare come essi siano, per il momento, del tutto interni a quel ceto politico che ha grandissime responsabilità nella catastrofe che ci ha spazzato via. Regolamenti di conti, fronde, scissioni fanno ora il paio con improbabili appelli identitari, con rituali autoreferenziali o con "aperture alla discussione" convocate dagli stessi soggetti politici protagonisti della disfatta; e non si capisce per quale motivo quest’ultimi, che hanno deciso di ignorare l’avviso di sfratto che vasti settori sociali ci agitavano da tempo, dovrebbero avere oggi gli strumenti e la volontà per invertire la rotta. Non servono le adunate nostalgiche da consumare in autoconsolatori tripudi di bandiere rosse, né le convention che ripropongono, in forme appena diverse, la stessa ricetta – un’astratta "unità nella diversità"- rivelatasi letale. Occorrerebbe, innanzitutto, prendere atto della chiusura irrevocabile di un ciclo, che non è stata determinata dai "cinici disegni elettorali del Pd" – come qualcuno li ha definiti – ma dall’inadeguatezza e la miopia di una sinistra già ampiamente in crisi dopo un orribile stagione di governo e che invece di mettersi in gioco nei territori ha intrapreso la strada senza uscita della sopravvivenza a tutti i costi dei propri ceti politici. È inutile nascondercelo: la Sinistra Arcobaleno è arrivata alle elezioni senza aver lasciato, nei due anni precedenti, la benché minima impronta nell’azione governativa e, nonostante ciò, ha preteso che il proprio elettorato le riconoscesse, magari in misura minore, credibilità e consenso (come dimostra, tra l’altro, la scelta arrogante delle candidature, in moltissimi casi imposte dall’alto e senza il minimo rispetto per le dinamiche locali). Nonostante le leggi sul lavoro, l’immigrazione, le tossicodipendenze varate dalla destra fossero tutte lì, nonostante fosse sparita dai luoghi del conflitto, la sinistra si è illusa di avere un residuo di credito da parte di quei movimenti che ha maldestramente cercato di cannibalizzare negli anni passati o da parte di quei settori sociali più deboli lasciati soli al loro destino, come insegna il voto operaio finito a ingrossare il paniere della Lega e la catastrofe abbattutasi su Roma, maturata soprattutto nelle periferie, in alcune delle quali Alemanno ha vinto con 17 punti in più di Rutelli. Sarebbe troppo lungo ripercorrere le tappe di questa deriva ma è un dato di fatto che i soggetti sociali hanno imparato egregiamente a camminare con le proprie gambe e, detto in modo brutale, a fidarsi solo di se stessi. I segnali erano già chiari: dalla Val Susa a Vicenza, era emerso con chiarezza che non c’era più alcuno spazio per quella sinistra istituzionale che aspirava a essere l’interfaccia parlamentare parassitaria dei movimenti e, al tempo stesso, loro parte integrante "di diritto". E ora questi soggetti sociali hanno deciso di “mettersi in proprio”, non trovando traccia dei partiti di sinistra nelle mille battaglie che conducono nei loro territori contro gli inceneritori, la monnezza, l’alta velocità, le basi militari, per la difesa dei beni comuni, della casa, del posto di lavoro. Questa moltitudine di soggetti, individuali e collettivi, che forma comitati, dà vita a presidi, stringe patti, autoconvoca manifestazioni, che comunica attraverso canali –talvolta attraverso linguaggi- a noi inaccessibili, ha deciso di utilizzare anche le istituzioni e le scadenze amministrative come finestra di visibilità per le proprie battaglie e i propri bisogni, riportando risultati elettorali più che lusinghieri; l’anno scorso in Sardegna, una lista civica, "Alghero Viva", è riuscita a superare il 5% nonostante il crollo rovinoso di tutto l’arco del centrosinistra, ottenendo l’elezione di un giovane consigliere oggi fra i promotori di un laboratorio – la "Consulta delle Terre Libere"- che raccoglie movimenti, soggetti sociali collettivi, singole individualità istituzionali in tutta l’isola. Alle ultime elezioni comunali, la lista "Vicenza libera", nata all’interno del movimento "No Dal Molin", ha raggiunto la stessa percentuale, ottenendo il doppio dei voti della Sinistra Arcobaleno ed è stata determinante, al ballottaggio, per la vittoria “storica” del candidato di centrosinistra, Achille Variati, schieratosi contro la nuova base Usa. E laddove i movimenti hanno deciso di non dare vita a proprie liste e hanno scelto la strada dell’astensione – come in Campania, in Sardegna, nei territori del nord e nelle metropoli – ciò ha comportato l’azzeramento della sinistra istituzionale. Da qui il mio scetticismo verso il day after. La sinistra ha bisogno non di cambiare abito ma sostanza politica, di decentrarsi e delocalizzarsi, di relazionarsi con le istanze provenienti dai territori e le comunità ma anche di interrogarsi sull’estraneità, l’ostilità che quest’ultime manifestano nei confronti di partiti e istituzioni. Se una crisi della rappresentanza è giunta ormai a piena maturazione, occorre essere consapevoli di essere, come sinistra, anche noi parte del problema, non della soluzione. Nella mia esperienza in Sardegna, ho sperimentato direttamente quanto il rapporto con i movimenti possa incidere sul rinnovamento delle forme della politica, quanto esso sia determinante ai fini di un reale radicamento sul territorio. Guardare ad esso con sufficienza, considerarlo una declinazione dell’antipolitica o, peggio, un semplice bacino elettorale, è stato un errore imperdonabile. Per questo, se una fase costituente di una nuova sinistra ha ancora qualche chance, essa deve essere giocata nei territori sui grandi temi sociali e ambientali, deve essere fatta di ascolto, confronto, cooperazione, conflitto, deve darsi come strumento di interlocuzione e costruzione orizzontale assemblee autoconvocate territoriali aperte alla società civile, e non può avere come approdo un’ennesima riedizione di partiti che altro non sono che semplici contenitori di tessere da utilizzare per conflitti interni. La politica, nei territori, si misura sul "fare", sull’"esserci". Quando ciò non accade, la democrazia rappresentativa muore, perché sceglie l’arroccamento, sceglie cioè la rappresentanza contro la democrazia.
RIPARTIAMO DAL DIRITTO ALLA SOVVERSIONE, COSTRUIAMO CONFLITTO SOCIALE
Francesco Caruso*
Assolti perchè il fatto non sussiste. Non sussiste la cospirazione
politica, non c'è nessun attentato agli organi
costituzionali al fine di
turbare l'esecuzione delle funzioni del governo italiano,
non c'è alcuna
associazione sovversiva di ventimila persone tesa ad
abbattere la
globalizzazione economica e l'ordinamento del mercato del
lavoro.
Purtroppo non c'è nulla di tutto questo, ed è un vero
peccato.
7 anni in ostaggio del Pm Fiordalisi e dei cantieri infiniti
dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, circa 40 udienze su
e giù per
Cosenza, qualche settimana di reclusione nelle carceri di
massima sicurezza
e un confino politico durato 548 giorni, tanti quante le
firme apposte ogni
mattina alle 12 presso la stazione dei carabinieri di
Benevento.
Finalmente libero, anche se con una decina di procedimenti
ancora in
carico, ma nel complesso è un macigno generazionale di 7.000
procedimenti
penali che pesano sulla testa e il destino di una miriade di
attivisti dei
movimenti da Genova ad oggi.
Guardo con estrema preoccupazione il dato elettorale, o
meglio, il disastro
elettorale della sinistra, ma non credo che il dato
giudiziario e
repressivo sia meno drammatico: qui non si tratta della
scomparsa di una
pattuglia parlamentare ma del rischio concreto che da qui a
poco centinaia
di attivisti si trovino incarcerati per il proprio impegno
politico e sociale.
Non è un problema che riguarda solo i diretti interessati e
per questo
parlare di rilancio di una presunta sinistra non può che
passare anche da
qui, dalla difesa politica contro la criminalizzazione delle
lotte sociali,
anche perchè è solo nel rilancio strategico dei movimenti
che possiamo
rintracciare l'unico antidoto in grado di sconfiggere il
quadro di
americanizzazione culturale, di omologazione politica e
repressione sociale
nel quale rischiamo di rimanere tutti stritolati.
Negli ultimi tempi, anche nell'intento disastroso di
assemblare pezzi e
quadri d'antiquariato di ceto politico in libera uscita, il
tema del ruolo
strategico dei movimenti si è sempre più sbiadito: la
stagione di Genova e
del movimento noglobal, dopo i due anni di fallimentare
esperienza di
governo, è scomparsa dall'agenda politica, e con essa il suo
carattere
dirompente di critica alle forme tradizionali della
partecipazione, di
sperimentazione di forme innovative di azione politica.
Mi rendo conto dell'esigenza dei compagni e delle compagne
di Rifondazione
di discutere a fondo delle ragioni della disfatta
elettorale, ma ho paura
che dopo aver toccato il fondo si incominci anche a scavare,
rinchiudendosi
a guscio per i prossimi mesi ad accoltellarsi l'uno con
l'altro.
Per chi ha conosciuto la galera come l'incarico
istituzionale, verrebbe
provocatoriamente da chiedere ai segretari e ai vertici dei
decrepiti
partiti della sinistra di poter sperimentare
quest'interessante
interconnessione: non si tratta di mandare in galera i 4
segretari della
sinistra arcobaleno, cioè tornare al partito comunista
clandestino di
Gramsci durante il ventennio per il quale la galera era
palestra per
temprare l'identità antagonista e precondizione alla
direzione del partito,
ma riposizionare piuttosto la costruzione di un'alternativa
di società
dentro la sfida ai potenti e alle prepotenze del mondo
globale e locale nel
quale viviamo ogni giorno, nella costruzione di dinamiche
anche radicali di conflitto sociale, nella disobbedienza
quotidiana ai
dispositivi di comando e di controllo sociale.
Il riconoscimento e l'internità sociale la costruisci anche
e soprattutto a
partire da questo, non in spettacolari azioni di
giacobinismo
d'avanguardia, ma nei processi di organizzazione e
autorganizzazione
sociale, nei quali ti sporchi le mani e anche la fedina
penale per
costruire giorno per giorno consenso, riconoscimento e
internità sociale
sui territori, nei quartieri, nelle periferie segnate tanto
dal disagio
sociale quanto dai facili proclami xenofobi e securitari.
Vai alle 6 del mattino a bloccare lo sfratto di Zia Lina,
un'anziana
ultraottantenne che rischia di finire in mezzo alla strada,
e poi tornaci
dopo 22 giorni per il rinvio, e organizza il picchetto
insieme alle altre
famiglie sotto sfratto per impedirne l'esecuzione, e vedrai,
come dimostra
l'elezione di Tarzan a Roma, che probabilmente si riuscirà a
percepire non
solo la tua utilità ma anche la tua alterità, cioè
socialmente utile e al
tempo stesso politicamente altro dal quadro degradato e
degradante della
politica.
Rifondazione è un partito radicato, centinaia di circoli che
potrebbero
diventare basi di appoggio per la sovversione sociale:
comitati di lotta
dei precari, picchetti antisfratto, azioni contro il
carovita.
Certo al Gip Nadia Plastina che allora firmò la convalida
dei nostri
arresti, per poi essere subito dopo promossa al prestigioso
incarico
ministeriale di Direttore dell'Ufficio Diritti Umani del
Ministero di
Giustizia, questi concetti possono apparire scandalosi e
terribili, nei
quali potrebbe tornare a "intravedere il tentativo di
coniugare
disobbedienza, antagonismo e sovversione sociale" e
controfirmare nuovi
arresti.
Infatti il processo di Cosenza si basava solo ed
esclusivamente su parole
dette e scritte che esprimono su per giù i medesimi
concetti, parole che
rivendico ieri come oggi, che non a caso ho cercato di
attualizzarle.
Ma oggi ripartire dallo spirito di Genova mi sembra cercare
di tornare
indietro alla preistoria, ormai sono trascorsi quasi 7 anni
e di mezzo c'è
stato un bel pò di cose, l'11 settembre o il fallimentare
governo Prodi
tanto per essere provinciali.
Quel che serve oggi non è una nostalgica ricerca a ritroso
di qualcosa che
non c'è più, ma piuttosto sperimentare in avanti qualcosa che
non c'è
ancora. E quindi costruiamo casomai lo spirito della
Maddalena, cioè un
punto forte di precipitazione radicale della sedimentazione
antagonista che
di qui ad un anno riusciamo a seminare, senza tavole
rotonde e gruppi di continuità, ma sporcandosi mani, piedi e
fedine penali
nel disagio e nel conflitto sociale.
Per questo l'appello che mi sento di fare, forte e felice di
una sentenza
di assoluzione, è di fare in modo che dilaghi la
cospirazione politica e la
sovversione sociale del Sud Ribelle, cioè che migliaia di
persone come è
avvenuto e avviene tuttora a Melfi, Acerra, Scanzano,
Savignano, si
organizzino nei comitati, nelle vertenze, nelle lotte
sociali, ricostruendo
una trama di relazioni contro l'imbarbarimento sociale, la
precarietà, la
devastazione ambientale, la guerra globale, la mancanza di
reddito, a
partire dal proprio specifico e dal proprio territorio, ma
che siano al
tempo stesso in grado di contestualizzare questo dato dentro
il quadro più
complessivo della devastazione mondiale neoliberista: per
questo La
Maddalena ci può aiutare a restare con i piedi ancorati nei
territori, ma
senza al tempo stesso rimanerci incastrati.
Agire localmente per sovvertire lo stato di cose presenti,
ma anche
pensare, in termini globali e locali, sovversivi e
cospirativi, perchè il
pensiero è sempre sovversivo, sovverte cioè inesorabilmente
una parte del
pensiero che lo precede, attenta inesorabilmente all'inerzia
e
all'omologazione, agli stereotipi e ai tabù.
Ed il pensiero, per quanti celerini tu possa schierare, per
quanti processi
tu possa imbastire, per quanti lacrimogeni tu riesca a
sparare, non potrai
mai riuscire ad imprigionare.