NEMMENO UN EURO ALLA CROCE ROSSA E ALLA PROTEZIONE CIVILE (di Francesco Caruso)

NEMMENO UN EURO ALLA CROCE ROSSA E ALLA PROTEZIONE CIVILE
contro la statalizzazione e l’aziendalizzazione della solidarietà

Lo so, il titolo è forte e provocatorio ma si tratta di una sorta di "defribillazione" concettuale per riprendere a riflettere oltre il bombardamento e la cappa ideologica che ha accompagnato in questi giorni la sempre più invasiva spettacolarizzazione della tragedia e del dolore.
Già a poche ore di distanza dal terremoto, giornali e mass-media ripetevano, con insolita insistenza, di non raggiungere le località del terremoto e non attivarsi sul fronte della solidarietà perchè erano già presenti sul luogo le forze competenti e necessarie.
E così per giorni e giorni un sistematico e martellante ritornello esalta in modo entusiastico ed unanime l’efficienza della macchina organizzativa degli aiuti: scomparsi nel nulla i ritardi e le inefficienze che hanno caratterizzato altre emergenze, l’immagine che ci consegna il dramma del terremoto in Abruzzo è anche quella di uno stato che c’è e risponde in modo puntuale all’emergenza.
Questa è l’immagine che arriva nelle case degli italiani e che rimarrà impressa nella memoria collettiva senza alcun ulteriore riscontro e verifica, perchè l’overdose massediatica ha sempre un livello di intensità inversamente proporzionale alla durata.
La reazione indignata delle più alte cariche dello stato ad una trasmissione televisiva che ha posto in modo molto pacato interrogativi su questa puntualità, disvela non la forza ma la debolezza di un dispositivo ideologico diventato realtà attraverso la sola forza dell’unanimità e della ripetizione: una qualsivoglia voce fuori dal coro rischia di relativizzare quest’assunto e creare quindi un cortocircuito, soprattutto se questa si esprime attraverso lo strumento primario di legittimazione del discorso, cioè la televisione.
Purtroppo l’immagine della realtà è, come avviene purtroppo sempre più spesso, abbastanza distante dalla realtà stessa.
Proteso come sempre alla disobbedienza, se il governo invita a starsene comodamente a casa e casomai mettersi la coscienza a posto con un semplice SMS, io alle 10 del mattino dello stesso giorno sono già in viaggio verso L’Aquila: dopo 4 giorni sono ancora in giro per la piana dei Navelli a distribuire aiuti, coperte e viveri a interi paesi dimenticati dalla macchina dei soccorsi.
Non c’è miglior verifica che andare sul posto e parlare direttamente con chi vive il dramma di quella realtà, ma tra le centinaia di giornalisti accorsi nell’aquilano nessuno trova il tempo di spostarsi di pochi chilometri dal triangolo mass-mediatico di Piazza d’Armi-Onna-Scuola di Finanza e verificare ad esempio come e quando sono arrivati i primi aiuti a Caporciano, a Castelvecchio, a Bomanico, alcuni dei paesi dove al nostro arrivo abbiamo trovato poche tende montate o null’altro.
Su http://www.youtube.com/watch?v=OocUmWc9xo4 c’è un breve video nel quale non pericolosi e violenti sovversivi (quelli erano impegnati a scaricare gli aiuti…) ma gli abitanti del luogo denunciano i ritardi e le inefficienze.
Detto ciò in questi giorni in Abruzzo ho conosciuto persone straordinarie, volontari della protezione civile, della croce rossa, vigili del fuoco, che hanno buttato l’anima, lavorato giorno e notte per alleviare le sofferenze, assistere anziani e bambini, garantire un pasto caldo, una coperta, un minimo di sostegno.
Non è assolutamente mia intenzione denigrare o sminuire il loro lavoro, il loro straordinario impegno sul campo, il sacrificio quotidiano di tutti gli operatori.
Il problema ancora una volta va posto al vertice e non alla base.
Nemmeno un euro alla Croce Rossa e alla Protezione Civile perchè non mi fido di questi signori.
Lo ripeto, non gli operatori sul campo, ma i loro vertici e i loro uffici contabili.
Quelli ad esempio della Croce Rossa Italiana impegnati da mesi a ripianare il deficit di decine milioni di euro frutto della gestione "allegra" dei vari commissari, da Maurizio Scelli (oggi deputato PDL) in poi, che si sono sistematicamente rifiutati di stabilizzare gli oltre 1900 precari e che elargiscono però, in virtù dei 400 milioni devoluti ogni anno dal governo italiano, ai massimi dirigenti dei lauti stipendi a molti zeri.
Ora avranno un flusso di denaro aggiuntivo con il terremoto che forse permetterà loro di finirla di ricattare di commissariamento le sedi periferiche al fine di estorcere ulteriori contributi per ripianare il deficit della direzione centrale, come da mesi denunciano operatori e volontari della CRI.
La croce rossa italiana, a differenza di tutti i paesi europei, ha uno stato giuridico di ente pubblico, dunque sotto il controllo dello stato: dalla guerra in Iraq, quando nel 2003 l’emblema della Croce rossa italiana accanto alle divise militari suscitò dure proteste della Croce rossa internazionale a Ginevra, fino ad oggi, a nulla sono valsi i richiami del comitato internazionale della Croce rossa a riscrivere il proprio statuto al fine di garantire i principi fondamentali di imparzialità, neutralità e indipendenza sanciti dallo Statuto del Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
Se sparare sulla croce rossa può sembrare un sacrilegio, lo stesso grado di intoccabilità sembra ormai appannaggio anche della protezione civile.
Lo scandalo della Missione Arcobaleno, nel 1999, ha aperto una falla nella fiducia pubblica che ancora non si è rimarginata: la convinzione dominante, da allora, è che i vari Bertolaso, quando non frodano, comunque utilizzano male i fondi, anche semplicemente per un eccessivo peso dei fondi destinati all’organizzazione.
Qui il professionista delle disgrazie, quel Guido Bertolaso che con i suoi 1.013.822 euro dichiarati del 2007 è il più ricco sottosegretario di governo, torna ancora una volta in campo e con lui il suo staff coordinato da Marta Di Gennaro, finita in carcere per lo scandalo rifiuti in Campania, e la sua completa autonomia in materia di spesa e controllo.
Un’autonomia e una mancanza di controlli che permette loro di assistere gli sfollati in tempi rapidi, ma che al contempo permette ad amici e parenti di far affari in tempi altrettanto rapidi.
Non preoccupano solo i sotterfugi contabili con i quali i fondi raccolti per il terremoto possano esser dirottati ad esempio per l’organizzazione del G8 della Maddalena, di cui la protezione civile è competente in deroga a qualsiasi controllo in virtù del segreto di stato, ma al rischio di ritrovarci proprio come per i rifiuti o il g8, con milioni di euro che vanno, attraverso i contratti assegnati d’urgenza dalla Protezione civile  senza quindi alcun bando e gara d’appalto, alle società gestite guardacaso dalle stesse mogli dei dirigenti della Protezione civile (vedi l’articolo di fabrizio gatti: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Lo-scandalo-G8-e-lhobby-da-300mila-euro/2054529).
Personalmente a questi signori non consegnerò mai un euro. Continuerò a lavorare gomito a gomito con i tanti precari della croce rossa, con i volontari della protezione civile, persone oneste, generose, che impiegano tutta la loro passione, il loro tempo e il loro sudore per stare al fianco dei più deboli, di chi soffre, ma al tempo stesso non mi stancherò mai di denunciare, casomai discutendo anche con loro dopo aver lavorato tutto il giorno insieme, le nefandezze dei loro vertici.
Ma il punto principale non è il livello di degrado e di corruzione, ma anche la natura stessa di questi organismi.
Non darò loro mai un euro perchè non voglio alimentare l’istituzionalizzazione e la statalizzazione della solidarietà, la sua concentrazione oligopolistica, la professionalizzazione para-statale che costruisce ulteriori carrozzoni e imbriglia il tessuto moltitudinario della solidarietà, disarmando ogni forma di dissenso antigovernativo e di partecipazione alternativa.
L’ipotesi di dirottare il 5 per mille sull’emergenza abruzzo è il punto finale d’approdo di questo processo di sussunzione statuale delle molteplici forme di partecipazione e intervento solidaristico, che porta a confondere il concetto di solidarietà con quello di utilità sociale e a disperdere il valore imprescindibile della gratuità.
Per contrastare questo processo di statalizzazione e aziendalizzazione dell’impegno civile e sociale, dobbiamo volgere lo sguardo verso le esperienze seppur parziali che in questi giorni anche in Abruzzo si sono mosse fuori dal controllo dello stato, seppur coordinandosi in modo operativo con le sue articolazioni per rendere più efficace il proprio impegno.
Il modello infatti non può certo essere il caos organizzativo dei giorni seguenti al terremoto in Irpinia, alloquando una miriade di colonne di aiuti si muovevano, si sovrapponevano e si disperdevano sul territorio senza sapere dove intervenire, ma detto questo, la soluzione non può certo essere l’approccio top-down di Bertolaso per rimuovere – e non solo nascondere – ritardi e inefficienze.
C’è bisogno, una volta superata la prima emergenza immediata, di volgere lo sguardo verso sè stessi, attivare il prima possibile il superamento della beneficenza e delle pratiche assistenziali verso pratiche di autorganizzazione dal basso in grado di stimolare il rafforzamento di quei legami comunitari che in questi frangenti drammatici riemergono con tutta la loro dirompenza nei tessuti sociali dilaniati dall’individualismo e dall’omologazione imperante, prim’ancora che dal terremoto.
Nei borghi, e in misura minore anche in città, questi legami sono l’unico antidoto contro la rassegnazione e la sfiducia soprattutto allorquando il circo mediatico smonterà i propri riflettori per rincorrere la prossima emergenza: è da questi legami che si deve sviluppare un percorso di riappropriazione dal basso del proprio territorio sventrato e di qualsivoglia ipotesi di ricostruzione.
Per questo non darò un euro alla Protezione civile o alla Croce Rossa, ma continuerò nei prossimi giorni a supportare il lavoro delle esperienze "dirette" di solidarietà che da giorni operano in Abruzzo, come le brigate di solidarietà attiva o l’epicentro solidale, esperienze che si pongono oggi il problema di assistere le popolazioni terremotate, senza la mediazione dei grossi carrozzoni della solidarietà, ma operando direttamente nei campi, gestendo in prima persona le cucine da campo, la raccolta e la distribuzione degli aiuti.
Non uno ma cento euro ho donato loro, oltre a giorni e giorni di intenso lavoro.
Da questi segmenti di intervento solidale sottratti alle dinamiche di sussunzione statuale si può innescare un processo di autogoverno del territorio, di controllo popolare dal basso della ricostruzione, perchè se un terremoto nessuno lo può fermare, il crollo sistematico di scuole, ospedali e studentati si potrà pur sempre, nei limiti del possibile, evitare.

Francesco Caruso


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