PAROLACCE

  Non so voi, io non ne posso più di Berlusconi.

  È una parola che mi dà noia. Berlusconi. Suona pure male, non è piacevole da pronunciare, o da ascoltare. Il dizionario etimologico lo fa derivare dal latino [berlusco = bis-luscus (due volte losco)], l’accrescitivo oni  sta per peggiorativo e plurale, il finale sconi rivela la provenienza alpino-lombarda. Una gnagna di parola così tristemente milanese, come possono esserlo la cassoeula, i dané, uelà, ghe pensi mi, quelli che dicono mi son fatto da me, vi invece di vu, tré invece di tre, il Gianni.

  Non ne posso più di vederlo sempre in qualsiasi programma della televisione o in qualsiasi articolo di giornale. Non ne posso più delle schiere di comici, commentatori e vignettisti che da anni fanno soldi con lui. Pagine e pagine di blog a commentare ogni giorno l’immancabile stronzata quotidiana, che sia una battuta fatta col sorriso, o una minaccia fatta senza.

  Io non voglio la mia vita circondata, marchiata, intrisa, pillottata, etichettata, infastidita dalla parola berlusconi. Voglio non dover più pronunciare questo nome e liberare le mie orecchie dal sentirlo.

  E poi basta con le vignette: l’omino che ride basso buffo senza capelli con i capelli grasso eforzaitaaalia e il doppiopetto blu i tacchi la guardia del corpo miconsenta la bandana menomalechesilviocè le battute le corna isignoridellasinistra la pidue papi lamicoputin e il fard le cravatte regimental le gambette secche i comunisti la libertà emiliofede il vulcano finto il cavaliere… 


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