Cesare Battisti e la Vendetta dello Stato

Probabilmente risulta essenziale, allo stato dei fatti, chiarire a noi e forse ai compagni più giovani, che questo paese è stato attraversato da una guerra civile e una rivoluzione fallita, tra il 1969 e la metà degli anni ottanta. Se non si chiarisce questo passaggio, prima storico che politico, manca lo scenario di fondo per  un chiarimento, ben lungi dall’essere risolutivo, su quegli anni e sui tragici fatti legati alle stragi di stato e all’insurrezione armata. Senza delineare questo quadro di fondo mancano gli elementi per decriptare l’isterica propaganda politica manettara e forcaiola che traborda dai media borghesi, che striscia negli ambienti politici, che attiva gli elementi più beceri e reazionari che, da sempre, si annidano nel ventre purulento di questo stato e di questa nazione.

Lo Stato reagì al tentativo di riforma democratico della fine degli anni sessanta con i metodi del terrore, del carcere e della repressione. La castrazione delle istanze democratiche di trasformazione sociale generò naturalmente una resistenza armata con ambizioni rivoluzionarie. La mediazione che portò alla costituzione repubblicana del 1948, nel 1969, saltò. Troppo diverso il quadro internazionale che vedeva l’Italia caposaldo della cintura sanitaria costruita nel dopoguerra per arginare il pericolo sovietico. Gli americani non potevano tollerare che uno dei suoi più strategici stati fantoccio potesse essere messo in crisi da poteri che fuoriuscivano dal ristretto ambito atlantico-borghese. E fu il tempo delle bombe ei vagoni, nelle stazioni e nelle caserme. Dei morti nelle piazze, degli infiltrati, delle fucilazioni, dei pestaggi delle leggi speciali e dei teoremi Calogero.

Fu il tempo delle organizzazioni armate di massa.  Inquadrate militarmente nelle colonne brigatiste o provenienti dallo “spontaneismo armato” dei Proletari Armati per il Comunismo in cui, appunto, militò Cesare Battisti. La sconfitta, perché e di questa che è bene parlare, fu politica. Quella militare ne fu una conseguenza. Tutte le guerre finiscono con un armistizio. I cinquemila morti di quella guerra ancora l’aspettano. L aspettano i quasi 300 detenuti per motivi politici delle carceri italiane, la aspettano da più di trent’anni. Aspettano i parenti delle vittime, la temono i carnefici. Il grande rimosso storico della repubblica “delle banane” italiana. I fantasmi di quella stagione popolano ancora i sogni e l’immaginario della borghesia italiana.

Cesare Battisti è un fantasma. Svestito dall’umanità di un essere umano, rivoluzionario di una stagione di insurrezioni per scelta e esule per due terzi della sua disgraziata esistenza, Battisti ha assunto l’aurea di un incubo per le  classi dominanti vacillanti sotto i resistibili venti della globalizzazione. Una isteria che si alimenta nella paura e nel rancore.

Cesare è stato condannato avendo come unica prova due infami, che dopo aver scelto la strada della lotta armata, lo denunciarono, una volta catturati per un’altra soffiata di loro compagni di merende, sperando nella pietà dello stato per i delatori. La famosa legge sui “dissociati”, 4 nomi e scompariva la condanna per anni di eversione armata contro i poteri dello stato. Una legge, appunto, per infami.

Il tipone in sedia a rotelle che appesta in questi giorni le nostre televisioni è uno che è stato gambizzato dal padre, che in un’altra delle sue epiche uscite degne di uno spaghetti western aveva impiombato dei ragazzi in una pizzeria perché riteneva che potessero insidiargli dei gioielli che non era riuscito a vendere in una vannamarcata dell’epoca.

Che la destra cerchi di attirare l’attenzione mediatica sul caso Battisti è  comprensibile, onde distogliere l’opinione pubblica da una crisi epocale, dal proprio collasso politico, dai milioni di persone sulle piazze e in cassaintegrazione, dagli alpini che continuano a tornare a casa orizzontali rollati in tricolori sbiaditi. Perché anche gli altri si uniscano al macabro coro mi rimane ancora sconosciuto. Sui riti masochistici di quella che si ostinano a chiamare sinistra ho smesso di interrogarmi da tempo.

Ammetto che da un riformista come Lula uno scatto d’orgoglio come quello, sinceramente, non me lo aspettavo. Magari più dalla suo successore che ha conosciuto lotta armata, carcere ed esilio.

Patetiche sinceramente mi appaiono le minacce rivolte al Brasile.  Tra tre giorni, i veri poteri nazionali (finmeccanica e sui appalti miliardari di ammodernamento dell’apparato bellico brasiliano) avranno ricondotto a più miti consigli i riottosi e il parlamento ratificherà l’accordo militare con il paese americano.

Sul grip sociale di tale vicenda le telecamere sono state impietose. 4 gatti ai presidi (2 fascisti e 2 consiglieri circoscrizionali coscritti a forza tra i manifestanti).

Chi si ricorda il furore diplomatico con cui l’italia ha chiesto al Giappone l’estradizione di Delfo Zorzi, che nel paese del sol levante, dopo aver messo le bombe a Bologna,  ha aperto una serie di ristoranti italiani ed è diventato miliardario ?(con i soldi  dei servizi segreti, cioè i miei). Ho il suo coimputato nel processo, il forzanovista Roberto Fiore, che nel periodo dell’esilio londinese ha fatto palate di soldi con la sua organizzazione di accoglienza degli studenti (fasci) italiani?

Con che coraggio la farnesina avrebbe potuto chiedere al sud africa di distogliere il generale Maletti, il depistatore della strage di Milano, dalle sue incombenze del suo vasto ranch e rientrare in Italia dove l’aspettava una condanna passata in giudicato.

Mentre scrivo penso che dietro tutte queste storie ci sono i corpi e le speranze di trecento donne e uomini, che continuano a vivere tombati dentro i sarcofaghi carcerari. 300 combattenti di una guerra persa ma peggio ancora dimenticata e distorta.  Trecento crocifissi nell’acciaio e nel cemento che non scontano nessuna pena, essi subiscono la vendetta rabbiosa dello stato verso chi ha osato farlo vacillare, metterlo in dubbio prima che in crisi. Cesare, al di la della sua storia, è diventato il simbolo della vendetta, dell’odio profondo che è l’essenza stessa dello stato. Cesare è il simbolo della debolezza dello stato.

Trecento rivoluzionari in galera o a misure restrittive delle libertà personali da oltre trenta anni.

“questi compagni vanno amati, rispettati, LIBERATI”

AccaCiElle


Comments are disabled.